Di cicogne e altre castronerie

Vorrei spendere un paio di parole su questa bella esperienza. Io (come tutti credo) sono cresciuta con l’idea della gravidanza come un periodo magico e felice, in cui bombardata da misteriosi ormoni che gangia scansate passi le tue giornate a sognare a occhi aperti parlando al pancione e comprando tutine e dudù (che non ho ancora capito come diavolo si scriva).

Ecco, COL GRANCAZZO.

E scusate se come sempre mi faccio riconoscere per lo scaricatore di porto che sono ma per me è stato un incubo durato anni. Prima i problemi di fertilità (che alla fine lo so anche da me, non sono più una ragazzina e ci potevano stare), poi dopo un aborto precoce (sul quale non mi dilungo che è meglio) la tanto sognata gravidanza, 9 mesi da film horror, tra preoccupazioni, dolori di ogni tipo, viaggi interminabili nei mari della burocrazia… per non parlare del parto, una roba che definirei tortura legalizzata (nonostante gli ottimi professionisti che mi hanno seguita nelle mie divertentissime 10 ire in sala parto), seguita da giorni in cui se becchi l’ostetrica sbagliata vieni trattata letteralmente a pesci in faccia, tanto sei troppo debole per reagire e loro lo sanno bene. E di nuovo evito di dilungarmi sull’esperienza vissuta, che mi auguro non sia la stessa in tutti gli ospedali.

Quindi basta romanzare la gravidanza, BASTA. Iniziamo a parlarne di più in modo onesto, non ci sarebbe nulla di male.

L’unica cosa effettivamente vera è che quando guardi la tua polpettina per la prima volta tutto il resto sembra perdere importanza… e insomma benvenuta, finalmente, Aurora ❤️

Interpretazione libera di NY Cheesecake Polacca con salsa al caramello salato che misteriosamente sa di Alpenliebe

Quando ti ritrovi, dopo anni di convivenza, a gestire una relazione a distanza, ogni piccola occasione per stare un po’ insieme va presa al volo.

Così mi sono trovata ad “azzeccarmi” a un viaggio di lavoro di Fra a Cracovia.

Trovandomi sola buona parte del tempo ho deciso di partecipare a un corso di cucina polacca (esperienza meravigliosa!!), dove ho assaggiato la cheesecake più buona che avessi mai provato in vita mia! Ovviamente ho deciso di replicarla appena rientrata a casa, modificando un po’ la ricetta di testa mia con conseguente rischio di disastro nucleare.

Il risultato INVECE è stato di gran lunga superiore alle aspettative, il che mi ha portata a decidere di pubblicare la ricetta e candidarmi per Masterchef (che non ho nemmeno mai visto). Eccovi quindi la favolosaaa…

Interpretazione libera di NY Cheesecake Polacca con salsa al caramello salato che misteriosamente sa di Alpenliebe

Per la torta:

  • 250g di biscotti Gran Cereale o simili
  • 80g di burro
  • 350g di zucchero
  • 8 uova (hai letto bene, OTTO)
  • 500 g di Philadelphia
  • 500g di ricotta
  • 1 limone (buccia grattugiata e succo)
  • 1 arancia (solo buccia grattugiata)
  • 1 bustina di vanillina
  • 2 cucchiai di fecola di patate

Per il caramello magico:

  • 100g di zucchero
  • 100g di burro
  • 100g di panna
  • 1 bustina di vanillina
  • 1 cucchiaino di succo di limone

Prima di tutto rivestire uno stampo a cerniera da 24cm di carta da forno in modo che superi l’altezza del bordo. È di gran lunga la cosa più difficile di tutta la ricetta. Quindi fatto questo siete a cavallo.

Accendere il forno statico a 180° (io metto la griglia nel ripiano medio basso)

Tritare i biscotti e mescolarli al burro fuso, versare tutto nello stampo livellando il fondo (io uso il batticarne) e cuocere 10 minuti. Togliere dal forno e alzare la temperatura a 220°.

Mescolare in una planetaria le uova con lo zucchero con le fruste a max velocità fino a ottenere un composto spumoso. Abbassare la velocità e aggiungere gradualmente tutti gli altri ingredienti. Il composto deve risultare denso, se è troppo liquido aggiungere un cucchiaio in più di fecola.

Versare nello stampo e infornare.

Cuocere 12 minuti a 220°, poi in 10 minuti abbassare gradualmente a 150° e per altri 10 minuti continuare ad abbassare gradualmente fino a 100°. Cuocere a 100° per un’ora e mezza (dipende dal forno). Spegnere senza aprire e lasciar freddare in forno almeno due ore.

Sciogliere lo zucchero a fuoco basso in un pentolino dal fondo alto (per una corretta distribuzione della temperatura), appena si scioglie togliere dal fuoco e aggiungere mescolando il burro e la panna, la vanillina e il limone. Rimettere subito sul fuoco al minimo e far ritirare sempre mescolando per 10 minuti. Versare caldo (o riscaldato) sulla singola fetta e decorare con una foglia di menta.

Buon appetito!

Solo un gatto

Bobino non c’è più. Continuo a ripetermelo anche se per qualche motivo non riesco a convincermene. Forse perché nessuno ci ha effettivamente comunicato la sua morte. Il fatto che non si veda da così tanti giorni e le sue condizioni precipitate improvvisamente non danno molto spazio alla speranza. Forse dovrei anzi sperare che sia morto, perché vivere per soffrire aspettando la fine non ha senso. Eppure non ci riesco proprio a pensare che non ci sia più un Bobino in questo mondo. Ok, era solo un gatto. E ok, non era nemmeno mio. Lo vedevo sì e no due volte al mese. Eppure ultimamente ha significato più lui, per me, di tante persone “amiche”. E mi ha dato amore, serenità e qualcosa di simile alla gioia di vivere. E non sapere come e quando sia andato mi fa male. Quindi continuerò a pensarlo vivo, lontano dagli occhi ma vicinissimo al cuore. Per sempre.

Nerume

Non scrivo da secoli. Nemmeno ricordavo – tra una foto e l’altra per cercare di sembrare decente su instagram – di avere un blog semiserio. Come tutte le cose della mia vita dopo poco perdo interesse e per quanto la mia mente si rifiuti di affrontare l’ennesimo fallimento, la volontà solitamente a quel punto è già andata in ferie non pagate da un pezzo. Aggiungiamo la convinzione che ho maturato ultimamente di essere una capra a scrivere. Sicuramente la dannata, spontanea bravura della mia Mimma (che poi è probabilmente l’unica che mi legge) ha contribuito a farmi approdare infine a questa conclusione. Così sono passata dal pensare che sì, tutto sommato non avevo mai scritto un libro perché mi mancava la voglia, a convincermi che non sarei in grado di buttare giù nemmeno il mio epitaffio. Alla fine ho bellamente deciso di fregarmene e buttar giù questi due pensieri NERI NERISSIMI del lunedì sera nel mio modo poco brillante di scrivere.

Vi avverto che sarà un pippone per nulla divertente, quindi se avete di meglio da fare levatevi di torno. È che è lunedì sera, sono nel bel mezzo di un impossibile cambio dell’armadio e ho bisogno di sfogarmi.

Insomma, partiamo dicendo che sono in un periodo di vita che definirei decente. Le crisi brutte sono per lo più uno spiacevole ricordo. L’angoscia, i dottori e le medicine per cercare la magica soluzione al mio non voler stare al mondo sembrano la storia di qualcun altro. Lasciano segni, certamente. Vivi costantemente con la fottuta paura di ricascarci. Ogni malumore, ogni piccola delusione, ogni giornata di pioggia sei lì, pronta a rivivere tutto. Le mattine a piangere, la disperazione all’idea di doversi alzare dal letto, il desiderio di dormire 24 ore al giorno, di rimandare ogni singolo banale compito all’indomani, Il volersi male, sentirsi sbagliati, sporchi, cattivi. E costantemente accusati, giudicati, odiati e disprezzati da ogni singolo essere vivente con la convinzione di meritarselo.

E invece la delusione passa, le cose più o meno si sistemano. Smette di piovere. E anche il tempo passa, così piano piano riesci a riprendere un pochino in mano la tua vita. Cosa farne adesso? Sei pronto a rischiare di cambiare le cose? A metterti in gioco?

NO. NON LO SIAMO.

Ma cosa volete? Fino a qualche mese fa non pensavo nemmeno di volermi svegliare il giorno dopo, e ora pretendete che diventi Wonder Woman? Una donna realizzata e indipendente, che sa farsi valere e far vedere al mondo quello di cui è capace? Vi do una notizia sconvolgente: non funziona così. Quindi stasera credo di meritarmi il mio lunedì nero. Perché so che domani andrà meglio, e che tutto l’impegno che ho messo finora e continuo a mettere ogni giorno per stare bene valga bene qualche ricaduta, e che questo non significa arrendersi. Arrendermi è una cosa che non farò mai.

Visto? Va già meglio.

Happy Starbucks Day

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Nella mia vita ho definito una serie di “porti sicuri”, luoghi dove so che, bene o male, sarò più felice della media. Li curo come piccoli tesori e sviluppo per essi un’ossessione di livello maniacale. Uno di essi, chiaramente, è Starbucks. Il mio preferito è a Camden Town, sotto il ponte appena prima del mercato. Piccolo e senza pretese, con una manciata di tavoli di ferro con vista sul Camden Lock. La mia ossessione risale più o meno all’asilo (o almeno quella è l’impressione), nata insieme a quella per gli armadietti del college, i dolcetti di Halloween e l’Homecoming.

Quanto è ingiusto che a noi non sia mai toccato un ballo di fine anno?

Appena l’età e le finanze mi hanno permesso di iniziare a viaggiare (leggi, andare una o due volte l’anno in qualche posto non troppo caro in Europa, rigorosamente con voli Ryanair) ho realizzato il mio sogno. Entrare da Starbucks. Assaggiare e sviluppare una forma di dipendenza cronica per Caramel Macchiato e Cinnamon Swirl. E non solo. Collezionare tazze, tazzine, scatoline in latta con tè e altri bricchi inutili bianchi e verdi, tra cui una confezione di caffè in grani che custodisco ancora chiuso da decadi, chiaramente più scaduto di un cadavere. Ma almeno non puzza. Sono anche arrivata a livelli bassissimi di degrado, disegnando il loghetto sui bicchierini take away del bar sotto l’ufficio (allego foto disagio datata 2009).

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Come da copione ho abbracciato da subito (leggi, dall’invenzione dei social network) la causa Starbucks in Italia, con lunghe ed estenuanti discussioni con chi sosteneva che non sarebbe MAI successo. E invece ce l’abbiamo fatta. Dopo lunghi anni di battaglie contro radical chic, antiamericani e saccenti inaciditi che promettevano “grande sciagura e zero profitti” a chiunque anche solo proponesse l’idea, abbiamo anche noi il nostro primo Starbucks. Che, scusate l’espressione poco fine, SPACCA I CULI.

Mimma

La prenderò alla larga, stavolta. Perché alla fine questo blog l’ho aperto sì, un po’ per gioco, ma anche per raccontare la vita delle persone imperfette. Quelle che fanno fatica ad alzarsi la mattina ma lo fanno lo stesso, che devono mettere il doppio dell’impegno degli altri per fare qualunque cosa però la fanno, che nemmeno si ricordano come ci si senta ad essere spensierati, però provano a convincersi di esserlo

perché chissà, magari funziona.

Le persone che sono stanche ma col cazzo che si arrendono. Scusate il francesismo. Sui social è più facile mostrare solo il lato allegro delle cose, anche della depressione. Perchè ridere è la cura migliore. Qui però, quelle poche volte che decido di ritagliarmi il tempo di buttare giù due righe, preferisco tirar fuori anche un pochino del resto, perchè fa bene a me e spero – in modo spesso narcisistico – che qualcuno magari potrebbe ritrovarcisi e leggerle con piacere. O magari non ritrovarcisi, e capire meglio qualcuno che ha vicino. Dal canto mio, in tanti anni di vita ormai pensavo che non avrei mai incontrato una persona davvero simile a me. Una persona con cui essere me stessa davvero al 100%, senza bisogno di nascondere nemmeno il più brutto dei difetti per paura di vederla, domani, sparire perchè giustamente di te si è stufata. Una persona che nel suo essere unica è talmente simile a te da spaventarti, a volte. E invece un giorno io questa persona l’ho incontrata, un giorno senza aspettative… come quelli in cui succedono le cose più belle. Si chiama Isabella ed è come la Ginestra di Leopardi, un fiore fragile ma fortissimo che resiste nelle condizioni più difficili. La chiamo la mia mimma, perchè in fondo sono ancora e sarò sempre un po’ bambina, e ho bisogno di quei piccoli assaggi di tenerezza che ti curano dalla durezza del mondo (non so in quanti, a 35 anni, dormono ancora con i peluche e ne vanno fieri). La mia mimma è bellissima, di una bellezza unica e particolarissima che ogni volta mi fa sentire banale e insulsa. È intelligentissima e piena di eleganza, ma non di quella delle passerelle d’alta moda o dell’ultima collezione di Zara, di quella delle poche cose scelte con amore e indossate in una composizione che è una piccola opera d’arte.

La mia mimma è arte.

E capisce e ama l’arte, anche quella che io non riesco a vedere e mi sento tanto stupida a non apprezzare. Lei prende una cosa piccola piccola, come un papavero, e la trasforma in una ragione di vita. Non so come faccia ma le riesce tanto bene. Eppure è tutt’altro che perfetta. A volte mi fa arrabbiare, o fa cose sceme che non capisco, però non devo aver paura di parlargliene, anche se è permalosona. Perchè non le farei mai del male e so che lei lo sa benissimo e non ne farebbe a me. E quando mi sgrida o mi riprende (anche se sono permalosona) è sempre per il mio bene. Ed è così, stare insieme ci fa bene, e anche se a volte non ci vediamo per settimane so che non ci perderemo mai. Lo so e basta. Quindi grazie di esserci mimma e grazie di portare la tua (nostra) imperfezione fiera e a testa alta contro il mondo. ❤️

Giacomo

Da adolescente ero strana. Un po’ per mia indole, un po’ per proteggermi da un senso di inadeguatezza, dalla convinzione che non esistesse ne’ fosse mai esistito nessuno, al mondo, lontanamente simile a me. Vivevo le mie giornate in una dimensione parallela che potevo vedere solo io, e chiaramente tutti mi prendevano in giro. Io fingevo di fregarmene ma dentro ero terrorizzata dal guidizio altrui. Poi un giorno ho scoperto Leopardi. Lui CAPIVA. Non serve dire altro. Ho iniziato a parlargli in segreto. Gli scrivevo prima di andare a letto, diari e diari di lettere indirizzate a lui.

Usavo l’alfabeto greco per proteggerli da lettori indiscreti, con il risultato che adesso non ci capisco più nulla.

Insomma per farla breve Giacomo Leopardi è stato il mio compagno, il mio unico vero amico, il mio maestro di vita talvolta. Ho iniziato a festeggiare il compleanno il 29 giugno, perché lui era nato in quel giorno. Sognavo di svegliarmi a inizio 800, poterlo vedere, parlarci per ore..

e ovviamente sì, anche sposarlo e vivere insieme felici e contenti, ero pur sempre un’adolescente e in quanto tale innamorata fissa.

Un giorno ho trovato la sua statua nei giardini del Pincio, a Roma. Un amico mi ha fatto una foto mentre me lo sbaciucchiavo, e così è rimasta la tradizione. Ogni volta che vado a Roma passo a baciare la statua di Leopardi.

Non importa se sembra una cosa malata, inquietante e antigienica. È un piccolo ricordo della giovane me stessa che nessuno capiva tranne quel poeta sfigato con l’infinito negli occhi e nel cuore.

E se continuate a non capire (ma anche se capite, perché è meraviglioso) leggetevi L’Arte di Essere Fragili di Alessandro D’Avenia. Uno scrittore che ho scoperto da poco ma che da come scrive mi sembra di conoscere da sempre. Grazie Alessandro per le tue parole sul nostro Giacomo (con te posso accettare di dividerlo, giù), spero che le leggeranno in tanti e che il mondo smetta, una buona volta, di dire che Leopardi è uno sfigato. Magari un giorno ci incontreremo nei Queen Mary’s gardens a Regent’s Park, il mio posto preferito sulla faccia della terra, e parleremo di quanto sia bella la fragilità se non se ne ha paura. Ecco, vorrei poter fare questo adesso. Tornare dalla me quindicenne e dirle di non avere paura.

Melissa

Sarò onesta: ho una pessima memoria. Gli eventi della mia vita per lo più scoloriscono in fretta lasciando impressioni fumose condite da piccole tessere di puzzle, spesso romanzate per colmare i buchi narrativi.

Insomma non fingerò di ricordare come sono finita da Melissa la prima volta. Gli ultimi attimi di un viaggio a Torino, forse la ricerca di qualche souvenir, forse la necessità di entrare in questo luogo magico che intravedi dalla vetrina, in una stradina di fianco alla Mole. Fatto sta che mi ritrovo a casa con questa tisana che ha il potere magico di alleviare la tristezza. Sarà il nome, il profumo inebriante, il sapore esotico. La tengo come un tesoro, centellinandone ogni foglia. Ricordo il momento in cui mi sono resa conto che quello che ne rimaneva era stato attaccato dalle tarme della farina, credo di aver pianto tutte le mie lacrime e meditato il suicidio.

Insomma quando ho saputo che Fra sarebbe finito a Torino il mio primo, primissimo pensiero (lo ammetto candidamente) è stata lei, la tisana del sorriso di Melissa. Paziente ho aspettato il momento giusto. Ormai la meta era a portata di mano, che fretta c’era?

E chiaramente, una volta arrivato il momento giusto, il negozio era chiuso da 12 minuti.

Pervasa da una positività non mia ho atteso pazientemente (grazie al cielo a tipo 30 metri c’è un negozio di vinili fotonico) l’orario di apertura. 5 minuti prima c’era già la coda. Mi son sentita come ai vecchi tempi dei concerti. ERO IN CIMA, le transenne erano mie.

La prima cosa che ho fatto una volta entrata è stata, chiaramente, assicurarmi una dose di tisana del sorriso sufficiente a rifornire un rifugio antiatomico.

Una volta messe le zampe sul santo Graal ho pensato bene di continuare con lo stalking fotografico. Il negozio è una delizia per gli occhi, sembra uscito da un paesino delle Cotswolds, con il suo stile che è un mix tra coloniale, vittoriano, bucolico, regency e chi più ne ha più ne metta. Ovunque posi l’occhio trovi qualche particolare da mangiare con gli occhi. E il tutto accompagnato dal profumo delizioso dei prodotti che vendono, non solo tisane ovviamente! Insomma, se capitate a Torino io un salto ce lo farei.

Meraviglie

In 35 anni dovrei aver imparato a non fermarmi mai a pensare.

Pensare fa male.

Sembra uno slogan da quinto reich ma è dannatamente vero. Ok, ultimamente son stata benino. Non nego si essere passata dalla classica fase “Vedi? Che stavi male a fare cretina?” e aver pensato che male così non ci sarei stata più.

Però insomma, le ricadute ci possono stare, specie quando sei bloccata a casa con tutti i mali del mondo e nessuno con cui parlare tranne te stessa. E finisce che ti fermi e inizi a pensare. Bene ma non benissimo, bastan 10 minuti per vedere il fiume sotto un altro aspetto. Uno definitivo, che ti toglie tutti i problemi di dosso e ti culla nell’oblio.

E mentre sei lì che pensi a come ti starebbe una mise alla Laura Palmer spunta una lepre.

Fa capolino dal box delle bici, un giretto intorno all’albero e via nei cespugli verso il fiume. Neanche 10 secondi e vedi qualcosa di rosso attaccato all’albero. È un picchio. Un picchio vero. Non ne hai mai visto uno dal vivo ma sai che è proprio lui. Un rumore e vola via.. era uno scoiattolo che saliva sul tronco veloce e poi via, verso la cima dell’albero a cercare chissà cosa. La natura è meravigliosa, Torino è meravigliosa, la mia casina è meravigliosa, ecco. E ora tiro fuori la fotina fumosa del caffè, quando c’era la neve. Ed era tutto perfetto.

My secret Garden

Quando sei abituata a non ammalarti mai ritrovarsi bloccata in casa una vera tortura. Però a volte succede che esci sul balcone per la prima volta dopo mesi e scopri che sono spuntati i giacinti. E chissà, senza questo stop forzato nemmeno te ne saresti accorta.